L’analisi si sofferma sulla partecipazione alle elezioni europee a partire da quando l’istituzione politica ha avuto il suo parlamento ed il primo voto per eleggerlo, nel lontano 1979, correlando il trend con i principali eventi politici ed economici dell’ultimo quarantennio che ne hanno caratterizzato il percorso.
La partecipazione è rimasta sostanzialmente stabile nel corso degli anni ‘80, periodo nel quale l’Europa continentale era impegnata in un profondo riassetto e molti dei Paesi che avrebbero fatto parte dell’unione stavano facendo percorsi per la democrazia o la riconciliazione politica e sociale. L’Italia e gli italiani in questa fase hanno creduto nel “sogno” e nei benefici economici e collettivi che il processo di unificazione avrebbe portato al Paese.
Il “percorso” verso l’unificazione degli anni ‘90 necessario all’unione monetaria è stato certamente non del tutto compreso non soltanto nei suoi passaggi politici e formali ma, soprattutto, negli sforzi che venivano chiesti all’Italia dal punto di vista economico e fiscale per arrivare alla moneta unica e risanare i risultati delle politiche di spesa pubblica e della strutturazione della macchina amministrativa inefficace ed inefficiente a partire dalla metà degli anni ‘70.
L’Europa diventa tangibile e riapre le speranze e l’aspettativa sul sogno all’alba del nuovo millennio, con l’introduzione dell’euro come moneta unica coniata e circolante e con la firma della carta costituzionale europea e con essi migliora anche la partecipazione politica.
Nell’ultimo decennio la “disillusione”: l’Europa è diventata lontana, più distante che in passato perchè non risponde alle aspettative che l’italia aveva riposto in essa: modello di riferimento per la politica nazionale, per lo sviluppo economico e la coesione tra Paesi e popoli con una progettualità comune. Nel percepito degli italiani l’Europa è quella della lotta tra Paesi per prevalere, delle banche, dello spread, di Monti, dei vincoli di bilancio e di spesa, delle continue manovre economiche per rispondere ai “diktat” europei, senza se e senza ma. Non sempre capace, nonostante le iniziative, di dare un indirizzo e strumenti ai governi italiani che si sono succeduti.
A queste elezioni europee il vero vincitore è l’astensionismo a prescindere da ideologie, opinioni; esso rappresenta quindi un buon indicatore, la cartina al tornasole di quanto gli italiani si identificano nel ruolo di cittadini europei ed il rapporto con quelle che erano forse le loro immature aspettative utopiche, mettendo in evidenza la crisi di un sistema economico e finanziario e le fratture sociali che ne sono scaturite. L’astensionismo lancia spunti di riflessione su quello che è il ruolo dell’Europa in se, sulla sua capacità di coinvolgere tutti i cittadini nel perseguimento di un sogno, quello dell’Europa dei popoli, delle culture e dello sviluppo economico e sociale.